PESCA E SICUREZZA SUL LAVORO: STRADE SEPARATE O PERCORSO COMUNE?

Giorgio DI LEONE – Direttore SPESAL Area Nord ASL BA

IL CONTESTO

Il mondo della pesca professionale è di sicuro particolarmente complesso. Oltre alle variegate difficoltà proprie di qualsiasi comparto produttivo, e in particolare comuni ad ambiti lavorativi “difficili” come l’edilizia e l’agricoltura, la pesca risente infatti delle limitazioni aggiuntive imposte dalla Comunità Europea finalizzate alla riduzione dello sforzo pesca e giustificate dall’esigenza di tutelare le risorse ittiche con l’obiettivo di assicurare adeguato ripopolamento. L’imposizione di periodi di fermo pesca temporaneo (obbligatori o non), abbinata alle peculiarità contrattuali del settore (contratti alla parte), alle limitazioni imposte alle dimensioni delle maglie delle reti, alla spinta alla demolizione delle imbarcazioni e alla dipendenza dalle condizioni meteo marine sono tra le principali situazioni che determinanoelementi di debolezza del comparto quali:

  • il continuo calo degli occupati nella pesca e il basso ricambio generazionale checausano un costante declino delle comunità costiere dedite alla pesca;
  • la stagnazione dei prezzi medi alla produzione, lo scarso potere contrattuale e la bassa concentrazione dell’offerta che non consentono una partecipazione significativa nella dinamica che caratterizza la formazione del prezzo, con evidenti perdite economiche da parte dei pescatori a vantaggio del sistema distributivo;
  • investimenti inadeguati da parte degli armatori che determinano inefficienze e maggiori costi operativi.

Il recente irrompere della crisi energetica con aumenti sensibili dei carburanti ha ulteriormente aggravato la situazione, portando la gestione economica delle “imprese pesca” ai limiti della sostenibilità economica.

Come dimostrato dall’andamento negli anni in tutti i comparti produttivi e a maggior ragione nella pesca proprio per le peculiarità di cui abbiamo appena parlato, in coincidenza con periodi di crisi socio-economica c’èil concreto rischio di un’ulteriore “distrazione” di armatori e operatori rispetto alla prevenzione di infortuni e malattie professionali. In realtà già il contratto lavorativo “alla parte”, tipico di questo comparto lavorativo,è strutturato in modo tale da non stimolare l’armatore ad investire in attrezzature (partecipa in forma esclusiva alle spese), tese a rendere il luogo di lavoro tecnologicamente più avanzato e più sicuro, e, per contro, spinge l’equipaggio da lui arruolato ad uscire in mare il più possibile, anche con meno uomini a bordo, fermo restando il rispetto del numero minimo stabilito dalla tabella d’armamento.Per l’armatore (datore di lavoro) questa tipologia contrattuale rappresenta quindi un’azione frenante alla propensione ad introdurre innovazioni tecniche e/o tecnologiche in relazione al grado di evoluzione della disciplina della prevenzione e della protezione. L’armatore di un natante da pesca non sarà affatto spinto a spendere per un investimento che, se non raggiunge un elevato rendimento, si risolve con una perdita economica e, quindi, con una netta diminuzione del proprio utile, già compromesso dalle conseguenze negative della situazione di grave crisi in atto.

INFORTUNI E MALATTIE PROFESSIONALI

Non accettando di lasciarsi trasportare dall’onda mediatica emotiva determinata dai recenti gravi eventi, risulta particolarmente complesso ragionare su infortuni e malattie professionali negli operatori del comparto pesca.

La banca dati dell’INAIL, l’unica attendibile e disponibile per quanto riguarda infortuni e malattie professionali, non dispone di molte informazioni riguardo al comparto marittimo (e in particolare alla pesca) sia per la nota sotto denuncia che caratterizza il comparto (principalmente determinata dall’esigenza di sbarcare il marittimo infortunato o malato, con conseguente ritardo nelle operazioni di pesca e con la conseguente necessità, non sempre esaudita, di integrare l’equipaggio con nuovo personale nel rispetto delle tabelle d’armamento), sia per il relativamente recente (2010) trasferimento di competenze assicurative dall’IPSEMA all’INAIL.

Nonostante però all’INAIL risulti un numero di operatori della pesca sicuramente di molto inferiore rispetto al reale e che la grande maggioranza degli eventi infortunistici (tranne, probabilmente, i più gravi) o delle malattie professionali non vengano denunciati, il comparto pesca emerge come uno di quelli a maggiore rischio e con eventi più frequentemente gravi.L’ultima pubblicazione “Gli infortuni dei lavoratori del mare” (INAIL, 2018) descrittiva degli eventi infortunistici nel comparto marittimo in Italia, evidenzia come nel periodo 2004-2015 il 20% del totale delle schede degli infortuni marittimi pervenute al settore ricerca dell’INAIL fossero riferite alle navi per la pesca. In questa tipologia di imbarcazioni gli infortuni sono più frequenti durante la navigazione e colpiscono prevalentemente lavoratori dai 40 anni in su (a conferma ulteriore del basso ricambio generazionale) e, rispetto alle altre navi, ci sono percentualmente più casi durante la manovra di verricelli e di mezzi di sollevamento, l’impiego di attrezzature da lavoro e le attività di coperta.La metà degli infortuni è costituita dalle cadute a bordo (per scivolata, per ondata o altro). Sulle navi da pesca prevalgono gli infortuni determinati da cadute a bordo per ondata (68% in più), da utilizzo di mezzi di sollevamento e movimentazione del carico (55% in più), e da impiego di reti e attrezzature da pesca. Nel complesso l’ambito marittimo-portuale, rispetto agli altri comparti lavorativi,mostra maggiori criticità per lo stoccaggio dei materiali e minore frequenza di infortuni collegati al funzionamento degli impianti e all’utilizzo delle attrezzature. Il rischio di interferenza rimane elevato ed è determinato dalla presenza di personale che opera svolgendo un lavoro “in squadra”. I casi mortali sulle navi sono quasi tutti nelle attività di pesca.

Come in tutti gli altri comparti produttivi, oltre i 2/3 delle, poche, malattie professionali che vengono denunciate (e quindi riconosciute) sono riferibili all’apparato muscolo scheletrico nel suo complesso. Nonostante la sotto denuncia sopra citata, il tasso medio degli infortuni da movimentazione manuale dei carichi(in funzione delle denunce pervenute all’INAIL nel periodo 2015-2019 rapportato alla popolazione lavorativa) suddiviso per comparto, pone il comparto pesca (aggregato all’agricoltura in quanto i due settori lavorativi sono assommati nelle statistiche INAIL) al quarto posto dopo la fornitura di gas ed elettricità, la sanità e il trasporto e l’immagazzinaggio di merci.

Non di minore importanza risultano le esposizioni:

  • al rumore, costantemente presente durante tutta la navigazione con effetti sia sull’udito che su cuore, apparato gastro intestinale, apparato nervoso, qualità del riposo e del sonno, difese immunitarie, ecc.;
  • alle vibrazioni trasmesse al corpo intero, anch’esse costantemente presenti, in particolare durante alcune specifiche fasi della pesca, che possono causare direttamente o indirettamente lombalgie e traumi del rachide, sensazione di affaticamento, difficoltà di concentrazione, disturbi di equilibrio e dell’attenzione visiva, nausea,effetti su altri organi/apparati (es. ginocchia, articolazioni etc.). Occorre ricordare che lavorare in presenza di vibrazioni comporta l’assunzione di posture forzate per il mantenimento dell’equilibrio e un incremento delle forze di compressione sui dischi intervertebrali soprattutto nelle operazioni di movimentazione di carichi, trasporto materiali, spostamenti, che sono frequenti in tutte le operazioni lavorative a bordo delle imbarcazioni;
  • alle radiazioni solari, che possono essere la causa di cheratosi attiniche, neoplasie (anche maligne) della pelle e disturbi oculari;
  • alle sostanze chimiche, che possono essere alla base di disturbi epatici e dell’apparato respiratorio (fino a neoplasie anche maligne);
  • allo stress lavoro correlato, che può anche essere messo in relazione, come detto, con rumore e vibrazioni.

COSA FARE

In primo luogo, occorre ancora una volta ribadire che anche una sola morte sul lavoro è da ritenersi assolutamente intollerabile, e analogamente non sono accettabili le svariate conseguenze di infortuni o malattie professionali che hanno pesanti ripercussioni sulla vita del lavoratore, sulla sua famiglia e sulla società (con costi economici tanto più insostenibili quanto più ingiustificabili).

Gli armatori e gli stessi lavoratori sono chiamati a adoperarsi per attuare quei comportamenti consapevoli e responsabili richiamati dalle normative di settore (per quanto al momento ancora non perfettamente dialoganti tra di loro) o anche solo dall’oculatezza “del buon padre di famiglia”.

Le difficoltà economiche dei datori di lavoro, tanto più presenti in un comparto lavorativo complesso e penalizzato come la pesca, non potranno mai essere accolte come giustificazione di eventi nefasti correlati al lavoro.

Si tratta quindi di ragionare condividendo quanto più possibile difficoltà e soluzioni in quella logica di rete che “sola” può consentire di affrontare al meglio le varie criticità. Non volendo trascurare l’importanza di un adeguamento normativo ottenibile con un costante e incisivo confronto con le componenti politiche che possano da un lato indurre la Commissione UE a considerare più benevolmente le esigenze della pesca nel bacino mediterraneo e dall’altro stimolare l’emanazione di quei regolamenti applicativi da troppo tempo attesi, risulta comunque indispensabile attivare localmente iniziative tese ad aumentare i livelli di sicurezza dei lavoratori della pesca.

In questa prospettiva:

  • non bisogna mai arrendersi nel tentativo di aumentare i livelli di percezione dei rischi da parte dei lavoratori e la loro consapevolezza sulla necessità di attivare ogni utile iniziativa nella direzione della prevenzione dei rischi. Da questo punto di vista occorre quindi rimarcare l’importanza di una costante e ripetuta formazione mirata di qualità, cercando di individuare strumenti per valutare l’efficacia formativa e gli eventuali correttivi da attivare;
  • potenziare la “rete” non deve essere solo un’esigenza astratta ma deve tendere alla realizzazione e allo sviluppo di un Sistema di Gestione della Sicurezza sul Lavoro (SGSL), in applicazione a quanto previsto dall’art. 30 del D.Lgs. 81/08,prefiggendosi di garantire il raggiungimento degli obiettivi della sicurezza di salute e sicurezza ottimizzando i processi (e pertanto, ad es., condividendo i percorsi, individuando i migliori professionisti e contenendo i costi). In questa rete non potranno che essere coinvolti tutti gli attori della sicurezza aziendale (datore di lavoro/armatore, RSPP, RLS, lavoratori, medici competenti) ed extra aziendali (come ad esempio l’INAIL, e gli stessi Organi di Vigilanza – ASL, Capitaneria di Porto, VVFF, ecc.);
  • occorre individuare le criticità a bordo e impegnarsi, con un cronoprogramma ben definito, ad eliminare la fonte di rischio o, se non possibile, limitarne quanto più possibile gli effetti mediante l’utilizzo di strumenti tecnologicamente e scientificamente avanzati.

L’AZIONE DEI SERVIZI PREVENZIONE E SICUREZZA NEGLI AMBIENTI DI LAVORO (SPESAL) DELLE ASL

Gli operatori SPESAL sono dotati di qualifica di Ufficiali di Polizia Giudiziaria (UPG). In quanto tali, sono tenuti ad operare nel rispetto del Codice di Procedura Penale e a seguire le indicazioni operative fornite dalle normative di settore e dalle Procure della Repubblica.

In aggiunta, questi operatori, che lavorano nell’ambito del Ministero della Salute/Regioni e non casualmente sono collocati all’interno del Dipartimento di Prevenzione, hanno anche il mandato di perseguire perlappunto obiettivi di prevenzione. In linea con quanto indicato dall’art. 9 del D.Lgs. 81/08, gli operatori degli Enti Pubblici che svolgono funzioni di vigilanza non possono svolgere attività di consulenza sull’intero territorio nazionale. A loro è però consentita l’attività di assistenza alle imprese, ed è utile e opportuno che le aziende (anche quelle della pesca) direttamente o per il tramite delle Associazioni datoriali, come peraltro gli stessi lavoratori direttamente o per il tramite delle associazioni sindacali, si rivolgano agli SPESAL valorizzando questa funzione.

Gli obiettivi degli SPESAL vengono definiti nel rispetto degli accordi tra Stato e Regioni, contenuti nel Piano Nazionale della Prevenzione. Il più recente di questi Piani, con valenza dal 2022 al 2025, ha per la prima volta ufficializzato come strumento operativo un modus operandi che per la verità era già utilizzato da tempo dalle ASL: il Piano Mirato di Prevenzione (PMP).

La realizzazione di questi Piani individua quattro fasi operative:

  1. Fase di Progettazione, che contempla:
    1. individuazione del comparto
    2. definizione degli obiettivi specifici perseguiti dal piano
    3. individuazione delle aziende da coinvolgere
    4. definizione del cronoprogramma
    5. individuazione degli strumenti per la valutazione e gestione dei rischi (es. buone prassi, linee guida, scheda di autovalutazione, questionari sulla percezione del rischio)
    6. individuazione degli indicatori di efficacia dell’intervento
    7. coinvolgimento di parti sociali e stakeholders
  2. Fase di Assistenza, che prevede:
    1. informazione alle aziende mediante lettere e Incontri sugli obiettivi, le modalità di realizzazione del piano, i supporti al processo di valutazione e gestione del rischio
    2. formazione sulle metodologie e strumenti tecnici per la valutazione e gestione dei rischi
    3. restituzione allo SPESAL della scheda di autovalutazione aziendale e di percezione del rischio da parte dei lavoratori
  3. Fase di Vigilanza, checonsidera:
    1. vigilanza a campione delle aziende coinvolte nell’intervento di prevenzione sulla base:
      1. di un punteggio assegnato alle schede di autovalutazione restituite (alle imprese non responder viene attribuito un punteggio estremo);
      2. della effettiva partecipazione da parte delle imprese alle attività previste dal piano.
    2. Fase di Valutazionedell’Efficacia, che include:
      1. monitoraggio delle singole attività previste dal PMP attraverso la valutazione degli indicatori
      2. analisi della percezione dei rischi da parte dei lavoratori rilevata tramite l’apposito questionario
      3. raccolta e costituzione di un repertorio delle soluzioni attuate nelle aziende
      4. diffusione e restituzione agli attori, con Il coinvolgimento degli stakeholders locali e nazionali, dei risultati, delle soluzioni e delle misure migliorative, tramite attività di reportistica, incontri, seminari e convegni.

Di sicuro gli SPESAL dell’ASL Bari, e in particolare lo SPESAL Area Nord, pur non potendo né volendo venire meno alle proprie funzioni di vigilanza, ritengono prioritario proseguire nelle azioni preventive già avviate in occasione del precedente PMP (2018). In particolare, per un futuro più o meno prossimo possono essere individuate le seguenti priorità (elenco indicativo e non esaustivo):

  1. stimolare interventi che inducano gli armatori a risolvere alcune delle principali criticità che emergeranno dai piani di sicurezza (ad es. protezione da rumore, protezione dagli organi in movimento, maggiore sicurezza nelle passerelle di accesso alle imbarcazioni, migliore definizione dell’altezza minima delle murate delle imbarcazioni, ecc.);
  2. effettuare una revisione dei Piani di sicurezza con l’obiettivo di indurre una maggiore e non formale attinenza con gli ambienti di lavoro;
  3. realizzazione di uno strumento digitale che consenta la registrazione anonima degli infortuni mancati (near miss) o di lieve entità, con l’obiettivo di fare emergere la reale portata del fenomeno infortunistico nella pesca e individuare le principali criticità sulle quali intervenire in un’ottica preventiva;
  4. coinvolgere i medici competenti aziendali per lo studio degli effetti del sovraccarico biomeccanico dell’apparato muscolo scheletrico, utilizzando a questo scopo un questionario anamnestico validato dalla comunità scientifica;
  5. confronto con Capitanerie di Porto e INAIL per l’individuazione e il finanziamento mediante i bandi ISI di indumenti di lavoro e di sicurezza meglio indirizzati alle reali esigenze della pesca e allineate agli sviluppi tecnologici più moderni, stimolando, ove possibile, un adeguamento del Codice della Navigazione.