Cassazione Penale, Sez. 4, 20 gennaio 2017, n. 6376

Secondo l'art. 2 lett. e) decreto 298/99, lavoratore marittimo è «qualsiasi persona che svolga un'attività professionale a bordo di una nave, nonché i tirocinanti e gli apprendisti, ad esclusione del personale a terra che effettua lavori a bordo di una nave all'ormeggio e dei piloti portuali». Il comandante della nave è tenuto, a norma dell'art. 1 del medesimo decreto legislativo, ad osservare nei confronti dei lavoratori marittimi la «vigente legislazione in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro».

Il generale potere-dovere del comandante di nave di sovraintendere alla salute dei passeggeri e l'ampio spettro delle attività che confluiscono nella definizione di lavoratore marittimo, rinvenibile nel testo normativo citato, costituiscono la chiave di lettura del caso concreto. Non può, infatti, ignorarsi che la normativa in vigore indichi la specificità del lavoro marittimo e la specialità delle regole di gestione dei rischi connessi all'attività di pesca, non solo nel corso della navigazione ma sin dal momento dell'imbarco, rispetto alla normativa che disciplina il rapporto di lavoro subordinato.

L'indeterminatezza della figura datoriale desumibile in relazione alla nozione di lavoratore marittimo comporta che il comandante della nave, in quanto tale, assuma una posizione di garanzia nei confronti di coloro che prestano forza lavoro a bordo della nave, con obblighi di natura prevenzionistica, indipendentemente dall'accertamento della gestione professionale di un'attività di lavoro organizzata, in ragione della sua naturale posizione gerarchica rispetto a coloro che sono imbarcati.